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Commento alla novella Tango edita nel 1914

 “Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere.” Christa Wolf

La giovane donna che la scrittrice Paola Bianchetti in Drigo presenta in questa novella è piena di gioia di vivere, capace di donarsi con fiducia, dalla forte onestà e coerenza, di volontà quieta ma radicata e di una sensibilità “così acuta da essere quasi dolorosa”. Una giovane donna che, in forza di queste caratteristiche, sembra essere capace di andare in profondità con lo sguardo fino al punto da vedere oltre le maschere della commedia umana nella quale si trova a interagire. Un “paesaggio” efficacemente descritto dall’autrice in poche righe là dove parla, senza mezzi termini, di “vita oziosa e vanità di idee e di pensiero”. Una società tutta tesa alla ricerca del piacere, ma che non vive l’eros nella sua esperienza e significato originario e originale: cioè quale possibile chiave di accesso verso altri stati di coscienza, altri linguaggi, altre profondità. Nelle soggettività che circondano Paolina sembra prevalere un vissuto giocato in modo strumentale e narcisistico al solo scopo di comprovare le personali capacità di seduzione. Paolina, la giovane protagonista della novella, si trova in questo tipo di contesto quando le viene chiesto di vivere una parte in questa commedia : a passo di Tango. La giovanissima avverte istintivamente una resistenza, ma è incapace di trovare le parole per esprimere o spiegare.Tutti attorno a lei, a cominciare dalle sorelle, vedono nella causa del suo ritrarsi un pudore legato esclusivamente alla esteriorità: pruderie, appunto. Non possono immaginare che il disagio di Paolina possa nascere da un sentimento interiore legato al rispetto di sé e degli altri : sentimento di chi vive le relazioni come un fine e non come un mezzo.Relazione intesa e vissuta quale costruzione con un obiettivo in comune: e non come duello con sconfitti e vincitori (la Drigo parla apertamente di “schermaglia”). Eppure dietro questo contrasto emotivo traspare a mio parere la reale paura di Paolina: un sentimento che occhieggia a più riprese nel racconto. All’inizio quando confida alla madre il timore che il marito parta da solo per andare a Roma lasciando lei in Friuli. O quando teme di sfigurare di fronte alle “dame romane così sicure e affascinanti”. E ancora verso la metà della novella quando immagina che il bambino tanto atteso avrebbe “trattenuto” il marito presso di sè. Sembra di intravvedere una zona d’ombra, una vaga inquietudine, un ventre molle allusivo a qualcosa che non va tra lei e il marito. Ma sul sipario della loro relazione la luce sarà chiarissima davanti alla prova dell’infedeltà del marito. Solo a quel punto saranno evidenti le illusioni in cui Paolina ha scelto di credere e che stanno alla base della sua paura di perdere il marito:

“… conosceva ella Gerardo ? uno sconosciuto, che la sua fantasia aveva adornato di tutte le perfezioni a cui il suo amore aveva concesso tutti i diritti…”

Ed è questo momento che rivela, a chi legge, la vera fragilità di Paolina. Questa giovane donna così acuta nel leggere dentro gli altri, non solo non “vede” il marito, ma non riesce neanche a “usare” il dolore come una chiave per decifrare ciò che la circonda. Ad esempio, una madre che “la getta nel mondo (e nel matrimonio) senz’altra guida che una acuta sensibilità”. O un marito che si sposa forse per gratitudine (di piccolo orfano accolto e cresciuto in casa dalla zia). E soprattutto assistiamo a una giovane (e una scrittrice ?) che non sembra in grado di “vedere” e quindi mettere in discussione l’impianto maschilista della società in cui vive. Per esempio un habitat che prevede una rigida e misogina educazione al femminile: educazione che condanna nelle mogli qualsiasi aperta manifestazione della libido, assegnando loro solo un semplice (!) ruolo di sentimentale passività (che richiama il “modello” vittoriano). Paolina insomma non sa nulla della realtà sociale che, apparentemente lontana e sfocata, condiziona ogni singola vita, anche la sua: per esempio non è sfiorata dall’eco emancipatrice che da oltre un secolo attraversa l’Europa. Questa giovane ignorante, ingenua e inesperta si trova tra l’incudine e il martello. Da una parte grande integrità, ma una totale incapacità (culturale) di spiegare, farsi capire, argomentare in modo da creare e mettere sul tavolo un punto di vista altro rispetto all’esistente. Dall’altro, una maggioranza che, con eguale inconsapevolezza e altrettanta impotenza, (re)agisce in una società industriale e capitalista nella quale tutto ha già cominciato a diventare merce e consumo (sesso compreso): e le donne possono essere solo o mogli “educande” o amanti “pericolose”.
Paolina non sa trovare una terza via. E accetta di far morire quella parte di sé che le era “più cara”, ma che la faceva sentire “irrimediabilmente straniera”. Per obbedire a ciò che la società le richiede: fare come fanno le altre, diventare una donna “pericolosa” come la rivale e quindi in grado di “combattere con tutte le armi”. Per contendersi un maschio che rischia di diventare l’unico significato di tutta una vita, se nella vita di una donna è completamente assente “una stanza tutta per sé”.

Alda Capoferri