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“America in bianco e nero” di Giovanna Pajetta

 Intervista a Giovanna Pajetta

 

 Lettura da “America in bianco e nero” di Donatella Massara e Laura Modini durante la serata di presentazione 12,6,2013 

 

Mi è molto piaciuto il libro di Giovanna Pajetta, America in bianco e nero. Un diario del tempo di Obama, Manifestolibri, 2012. 
E’ questo un libro che mettendosi in relazione con le tante manifestazioni umane oltre che con quelle di chi scrive invita a guardare alla crisi con un occhio attento a non farsi ingannare dalle apparenze ma a spingersi la’ dove si configurano le cose rimettendo il mondo su un senso nuovo e inaspettato da considerare senza farsi azzerare.

Ma vorrei anche dire dell’oggetto libro che non ha le pagine incollate che si sparpagliano dopo tre giorni di lettura ma è rilegato, in buona carta, stampato font-size 14, 157 pagine, a 16 euro. Un bell’oggetto con una copertina onirica, colorati in grigio, bianco e nero ci sono un piccolo omino, vestito come mio nonno, con l’immancabile feltro in testa, e una bandiera americana, a cui si appoggia, con le tredici strisce alternate e le 50 stelle, in questo caso, oscurate, e invece sparse sul terreno dove il vessillo va a poggiare. Una bandiera come bastone della vecchiaia, dunque, ma vivace, agitata da un vento che possiamo immaginare soffi dal mare. 
Lo sguardo della giornalista è rivolto all’America che ha vissuto il salto verso Obama (e famiglia), la crisi economica, la Grande recessione e il tentativo di cambiamento, attraverso quelle piccole grandi riforme che la gestione del nuovo presidente ha tentato di avviare. Sta nel testo con tutta la sua soggettività di autrice ma senza ingenuità, e il self-control che a volte avvertiamo dolorante offre la possibilità di entrare, direi a piccoli passi, in una macchina per pensare gli USA, la gente e la sua politica. Macchina per pensare dico dove siamo tentate di vivere a distanza le differenze da noi, consumare la riflessione, misurare l’immaginario. C’è tuttavia da parte dell’autrice lo sguardo aperto della giornalista intelligente che non smette mai di stupirsi, di incuriosirsi, di non dare nulla come previsto. E’ da questa capacità di giudicare, senza chiudersi in frasi sapute, rotte dall’esperienza e dalla sicurezza del potere mediatico, che guarda all’America, senza per forza scontare i confronti “del qui sì che etc mentre da noi etc”. 
Il libro è un diario di anni che ritornano, scompaginati e non sequenziali, rivisti per spiegare la politica del prima e del dopo che ha portato all’elezione di Obama. Nei paragrafi iniziali vediamo la sfida che si creò intorno alla campagna elettorale. Assistiamo con emozione all’esplosione della incontenibile gioia nera, quando vinse. Rientriamo nei cupi anni ’80, il crack stava devastando i quartieri neri più immiseriti di New York, l’Aids aleggiava nella comunità gay, che solo dopo anni ottiene a un prezzo accessibile le cure per i suoi malati. E ‘la questione razziale’ è sempre ancora lì, soffocata ma agente, scorretta, vecchia e allo stesso tempo turbolenta, una ricaduta illegale e apocrifa, senza i favori della dea ragione che produce assassini, sommovimenti e rigurgiti conservatori. Nell’89 Norman Mailer dice la verità sul New York Times:”La vera questione è che noi in America non saremo in grado di risolvere nessuno dei nostri più gravi problemi in modo organico, finchè un nero non diventa presidente”. Dal ’90 al ’93 David Dinkins sarà il primo sindaco afroamericano di NY. 
“L’erba dei cattivi sentimenti” però non smette di crescere. I Tea Party nati nel 2009, con personaggi di punta come Sarah Palin e la giovane Christine o’Donnell, ha le donne in maggioranza tra i coordinatori cittadini o statali. In questo clima, all’avvicinarsi delle nuove elezioni riprende anche lei, l’autrice, a frequentare gli house party, semispenti, dopo la spinta creativa che aveva fornito la straordinaria partecipazione volontaria alla campagna elettorale pro democratici del 2008. Nel 2010, dunque, nonostante la delusione, (soprattutto per la mancata riforma sanitaria) l’attività politica ricomincia con le elezioni di mid term. E’ in quei giorni di quel “cupo novembre” del 2010 che si trova di fronte al problema dell’aborto, che, dopo lo scatenamento del movimento per la vita nel 1987, richiede che le donne povere abbiano l’aiuto della beneficenza. Questo avviene per la raccolta di fondi della New York abortion access fund, presente in 40 stati americani, dall’inizio degli anni ’90. Abortire, se tutto fila liscio, costa 250 dollari, ma dopo il 4° mese ne costa 9000, una soglia possibile a raggiungersi, essendo le cliniche per abortire 750, in tutti gi USA, e spesso raggiungibili solo dopo lunghe attese e ore di aereo. Queste elezioni di metà mandato furono un disastro. I favori verso Obama risalirono dopo l’uccisione di Osama Bin Laden. Occorre dire che il presidente, se non è un fanatico guerrafondaio, ha accettato pienamente la guerra dei droni, gli aerei telecomandati, l’arma della cosidetta “guerra clandestina dell’America” non solo contro il Pakistan, l’Afghanistan piuttosto verso quel nuovo sottaciuto fronte di guerra che è lo Yemen. E’ una guerra molto più economica di quelle del tempo di Bush, che hanno scavato un baratro nel bilancio del Pentagono, però suscita amarezza.”Ma in realtà l’America ai tempi di Obama è un paese in cui passato e futuro paiono compiere strane danze. Si mescolano fra loro, spesso persino nei nomi e nelle azioni dei loro protagonisti. Basti pensare che proprio grazie agli uomini del Pentagono quest’anno finalmente si chiudono i conti con l’infausta legge che discrimina gay e lesbiche che vivono nelle caserme americane”. Sono stati proprio i capi di stato maggiore a schierarsi a fianco delle comunità gay contro la legge che vietava di dichiararsi omosessuale pena l’espulsione dall’esercito. 

Ma finalmente arrivano di nuovo i giovani. Siamo nel 2011 quando entra in scena Occupy Wall Street mentre “Gli sfratti sono milioni e milioni in giro per il paese”. Alla fine di settembre di quell’anno scoppia l’occupazione di Zuccotti Park, sull’onda lunga della primavera araba, e alla quale arriverà anche l’adesione delle Unions. E’ un movimento dilagante, si definisce il 99% della popolazione contro l’1 % che si è arricchito, intenzionato a difendere la sopravvivenza economica di tutti. Dunque non solo più a scattare in piedi per quei diritti civili che sono sempre stati così presenti nella politica dei movimenti d’opinione americani. Non è più un tabù parlare della diseguaglianza sociale. E anche se in questo movimento Obama non suscita molte simpatie, oggi che è stato rieletto ci aspettiamo di vedere che cosa saprà riguadagnare della fiducia che in parte aveva perduta. E che qualcosa da cui imparare arrivi anche qui, fra noi.