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Evelina Cattermole alias Contessa Lara

contessalara Evelina Cattermole nel 1880

I genitori

 

Evelina Cattermole alias Contessa Lara, è stata una poeta, una scrittrice, e una giornalista, famosa nel suo tempo. Fu cronista, redattrice, inviata, titolare di rubriche e iscritta all’Albo della Stampa. Aveva cominciato a scrivere fino da bambina: poesie. Era nata il 26,10 del 1849. Morì l’1-12- 1896, assassinata dal suo ultimo amante.

 

Era nata a Firenze, figlia di un uomo nato in Scozia, Guglielmo Cattermole, insegnante di lingue, già sposato, con due figli avuti rispettivamente dai due primi matrimoni. La madre, Elisa Sandusch diceva di avere avuto un padre russo, anche se sua madre era romagnola, Lorenza Fanciullacci, la nonna che Evelina amò moltissimo per tutta la vita e che molto l’aiutò, dopo l’allontanamento dal marito Eugenio Mancini. Elisa era un’ottima pianista e dava ricevimenti, tenendo i propri concerti nella sua grande casa, dove erano ricevuti intelletuali e artisti del tempo. Mori’ nel 1866.

 

Il matrimonio per una ragazza del XIX secolo

 

Evelina Cattermole è introdotta giovanissima da Francesco Dall’Ongaro – frequentatore della casa di famiglia –  nei salotti dove si riunivano intellettuali e giornalisti fiorentini. Uno di questi luoghi di incontro è il salotto di Maria de Solms che ha sposato Urbano Rattazzi. La signora è coltissima e molto stravagante, di lei si raccontano ancora gli scandali che fece scoppiare per il gusto della provocazione. Ma in realtà scopriamo che era prima di tutto un’artista, oltre che una scrittrice. La stampa satirica avrà nel periodo della Scapigliatura un notevolissimo sviluppo. Maria de Solms in Rattazzi è considerata una notevole caricaturista e introdurrà per prima il procedimento della litografia, più svelto di quello in uso allora della incisione su legno. Dopo avere suonato il piano durante i ricevimenti in casa de Solms – Rattazzi Lina frequenterà il salotto Mancini. Pubblica il suo primo volume di poesie Canti e ghirlande nel 1867, lo stesso anno in cui conosce il futuro marito, figlio di Laura Beatrice Oliva, poeta e di Pasquale Stanislao Mancini, come la moglie, ardente patriota. Il Mancini dal 1865 era deputato del Regno d’Italia, con l’avvento della sinistra al governo sarà nominato Ministro di Grazia e Giustizia. Il figlio era ufficiale di carriera.

Firenze, in questi anni, è una città colta, aristocratica, cosmopolita è capitale del regno e accoglie numerose ambasciate. Eugenio e Lina si sposano nel 1871. E vanno a vivere a Napoli, città che farà da sfondo al romanzo della Contessa Lara, L’Innamorata (n.1). Ma nel 1873 sono già a Milano dove hanno un appartamento nell’attuale via Cesare Correnti, una contrada a quel tempo degradata dove non arrivava l’illuminazione a gas. Stiamo avvicinandoci al punto di svolta della vita di Evelina. Per capire che cosa poteva essere accaduto ricorro alle parole delle scrittrici che stiamo proponendo, sicura che l’immaginario femminile racconta molto della storia delle donne. Tango racconta la vita della giovane Paolina, sposa innamorata, trasferita nella grande capitale romana per seguire il marito, il quale – dice, l’autrice Paola Bianchetti Drigo – <<ben presto si era accorto che quella parte di marito incatenato, di “sorvegliante di servizio”, di “innamorato ufficiale”, non era fatta per lui>>. E Gerardo, così si chiama il marito di Paolina, sarà completamente <<travolto dall’ingranaggio mondano>>. Non è diversamente rappresentato il marito della giovane, prossima alle nozze, nella novella della stessa Contessa Lara, La Vigilia (n.2), che abbiamo qui presentato. Egli, invece dei sogni rosei che insegue lei, egli va a sposarsi – <<come un cane si fa frustare>> – costretto al matrimonio dalla carriera politica, dove un deputato se è celibe non è considerato abbastanza serio, però rimette insieme la sua collezione di amanti, in attesa di poterle ritrovare dopo le nozze. C’è un quadro che bene rappresenta la giovane di famiglia cattolica osservante che sta per andare sposa descritta in La Vigilia. L’artista del quadro, esponente della Scapigliatura, è Eleuterio Pagliano. Nel 1885 dipinge una giovane donna in abito da sposa, è seduta e assistita da un’amica sorridente, in piedi e a fianco,ma  lei non ride, anzi il pittore ha dipinto un’ombra che le copre gli occhi, il titolo è Sarò felice? (n.3) La vita matrimoniale della nostra scrittrice possiamo arguirla quando lei scrive: <<ed eccomi qui sola a udire ancora/il lieve brontolio de’ tizzi ardenti;/ eccomi ad aspettarlo: è uscito or ora/canticchiando co’ sigaro tra i denti. Gravi faccende lo chiaman fuora:/Gli amici al gioco delle carte intenti/Od un soprano che di vezzi infiora/D’una storpiata melodia gli accenti. E per questo riman da me diviso/Fin che la mezzanotte o il tocco suona/A l’orologio d’una chiesa accanto./Poi torna allegro, m’accarezza il viso,/ E mi domanda se son stata buona,/ Senza nemmen sospettar che ho pianto/. (n.4)

 

L’amante, il duello, la separazione

 

Per rimediare al suo disinteresse per la moglie Eugenio, le mette al fianco uno chaperon. E’ un suo caro amico, Giovanni Bennati de Baylon, per gli amici Bepi, nobile decaduto che lavorava in banca. Non era strano vedere le signore milanesi in giro con il ‘cavalier servente’, Speroni lo sottolinea, citando G.J.Keiser (Travel through Germany, Bohemia, Hungary, Switzerland, Italy and Lorrain) che scriveva:<<Neppure in Francia si potrebbero trovare delle dame sottoposte a minori freni di quelle che si vedono qui, mentre i mariti non trovano nulla da ridire.>> (n.5) Certo è che le scrittrici – contemporaneamente alla libertà femminile che vive in molte delle loro eroine,  raccontano anche una storia di sofferenza delle spose e in questi racconti c’è quasi sempre un’esperienza vissuta personalmente. Come nei due racconti che ho citato. Nel primo, quello di Paola Bianchetti Drigo il finale fa vedere Paolina che si inoltra <<con il leggero passo di un tango verso una china che non risalirà mai più.>> La china è quella della rinuncia al sogno d’amore coniugale fedele, per risvegliare l’interesse del marito rispondendo ai suoi tradimenti con i propri, accontentandosi, quindi, degli chaperon. Evelina Cattermole, invece, si innamora, ricambiata, del suo Bepi. I due escono insieme, si fanno vedere inseparabili, e si danno appuntamento in una stanza di via dell’Unione. Un giorno Eugenio – dopo essersi fatto dire violentemente dalla cameriera dove i due amanti avevano alloggio – li raggiunge e scopre, così, la relazione. Sfida a duello Bennati che, al momento dello scontro, tarderà a alzare l’arma, lasciando il rivale in attesa, ma, appena accennerà a un gesto, Mancini lo colpirà all’altezza del fegato. Bennati soccorso sarà portato a Bollate dove morirà qualche giorno dopo. Non sarà l’unica vittima. Durante i funerali una ragazza tenterà di inghiottire liquido da una boccetta di acido solforico. E’ Giuseppina Dones, la cameriera di Evelina che, costretta a rivelare dove si davano appuntamento gli amanti, è stravolta dal senso di colpa. Si salverà ma resterà segnata anche nel fisico, per sempre. Siamo nel 1875. I Mancini hanno già pronto un Patto di separazione per il quale Evelina si impegna a lasciare immediatamente Milano. Riceverà dal marito la somma di 300 lire ogni tre mesi. Per avere un’idea del valore della cifra pattuita basta pensare che il pane costava 0,25 centesimi al chilo. E’ ovvio che circa 3 euri al giorno non erano sufficienti per vivere. I fatti accaduti occupano le pagine dei quotidiani, anche se non viene fatto il nome dei protagonisti, che tutti, in realtà, sanno chi sono. Al processo per “omicidio in duello” Mancini sarà assolto.

 

La sua carriera: esordi

 

Per qualche tempo Evelina tornerà a vivere nella casa del padre, a Firenze, il quale, però, nel frattempo si era risposato e aveva avuto altri figli. Lina va a stare in casa dela nonna materna. Da questo momento anche per ragioni economiche comincerà a scrivere. Nel 1876 Evelina Cattermole inaugura la sua prima rubrica sull’appena uscito Corriere della Sera. In Lettera aperta alle signore scriverà per ventanni di moda, e di costume, bon ton, arredamento, problemi di vita. Era stata lei a proporre la rubrica all’amica, Maria Torriani, la Marchesa Colombi, della quale, nel nostro sito, abbiamo lalettura La signora Malvezzi al Maestro Cato, una lettera dal suo romanzo epistolare Prima morire. Le due donne si erano conosciute nel salotto di Clara Maffei, e la Marchesa Colombi al momento del duello aveva difeso Evelina contro le posizioni del marito, il direttore e fondatore del Corriere della Sera E. Torelli Viollier. Questi aveva visto in Evelina, solo un esempio di sfaccendata signora.

La attività giornalistica di Evelina è anche a Firenze dove inizia a collaborare con alcune pubblicazioni. E’ in questo periodo che incontra Mario Rapisardi. Uno dei tanti uomini che si innamorarono di lei, un amore non esattamente ricambiato come lui sperava, ma un incontro importante per la sua vita e attraverso il quale diventerà anche molto amica di Giselda, la moglie del poeta.

 

E’ proprio leggendo la poesia che Evelina dedica a Giselda che ci si accorge dello sguardo con cui la scrittrice guardava al mondo: aperto, curioso, pronto e disponibile a tradurre la novità in comunicazione. <<[…]Tutta moderna. Il volto incipriato, /i fianchi stretti da un grembiule, i bei/ Capelli in treccie, il fascino celato/Ne lo splendore de i neri occhioni ebrei; /

 Il garbo egual con che traccia un bozzetto/ E fa de i panni da stirar la lista,/Ordina un pranzo o un abito in merletto,/

Formano insieme un tale accordo strano/Di donnina da casa e dama artista/ Che disegnarla ci si prova invano.>> (n.6)

 

Un ritratto della scrittrice

 

C’è invece un altro ritratto in parole che accenna la personalità di Evelina Cattermole, come la vedeva un amico, Gabardo Gabardi. L’autore confessò in vecchiaia di averle fatto una corte assidua. Era il figlio della contessa Isabella Gabardi Rossi, fondatrice di Il Fieramosca, un quotidiano a cui collaborava Lina.

 

<<Amo il tuo riso scettico e argentino

Amo quel gelo che ti sta negli occhi,

La posa indifferente e il viperino

Scherno che opponi al plauso de gli sciocchi>>

 

La scrittrice risponderà – dice Maria Borgese, che pubblica entrambe le poesie, – <<con amarezza>> – Nei versi precisa che :<<la folla degli sciocchi>> vorrebbe meglio <<scuopra fuoco e gel dentro quest’occhi/ Dov’è il ricordo de i versati pianti>>, poi conclude:<<ma tu, se male/ Non vuoi ritrarre almen quel che si vede, Torna meglio a studiar l’originale.>> (n.7)

 

Evelina Cattermole era senza dubbio molto bella, biondissima, piccola e minuta, vestiva con eleganza. Nel periodo in cui portava il lutto per la morte di Bennati, sull’abito nero portava più fili di perle nere che le arrivavano, come si usava allora fino alle ginocchia. La descrive così Maria Borgese quando, per la prima volta, l’avrebbe vista a spasso per Firenze, Mario Rapisardi.

 

Evelina Cattermole incontra l’editore Angelo Sommaruga

 

Nel 1882 Evelina manda a Angelo Sommaruga la raccolta delle sue poesie. Escono nel 1883 con il titolo Versi sono firmate Contessa Lara e sono state corrette da Rapisardi che ne curerà anche la distribuzione. Lo pseudonimo Contessa Lara è tratto dal poemetto Lara di Byron del 1814.

 

Angelo Sommaruga fu un editore di grido, fondò varie riviste. La prima è La Farfalla stampata a Cagliari e poi a Milano dal 1876 al 1878. Ma a Roma ne fondò altre. Fra le quali Cronaca bizantina il quindicinale che uscì per quattro anni. Questo editore messo poi a tacere, a non ancora trentanni, da un processo che lo costrinse a emigrare in Argentina, aveva idee molto progredite. La sua attività è l’esito della rivoluzione della stampa che nasce in Italia con la Scapigliatura, il movimento artistico, letterario e politico che aveva avuto come centro naturale Milano. Nel periodo post – risorgimentale sorgono in Italia decine di pubblicazioni periodiche. Fra il 1860 e il 1870 ne sono state censite 186. <<La Scapigliatura raccolse e organizzò attraverso una straordinaria fioritura pubblicistica le aspirazioni e i rancori di una giovane generazione di intellettuali, letterati e artisti. Delusi per il rapido avvilimento degli ideali risorgimentali, che lo Stato unitario aveva nei suoi atti concreti perso per strada>>. (n.8) Il suo mentore per Cronaca Bizantina fu addirittura Carducci e intorno a questo periodico l’editore, frequentatore dei salotti mondani, raccolse le firme più interessanti del tempo. Sommaruga apriva i suoi periodici a qualsiasi contributo pensasse stimolante per il dibattito artistico e culturale. Non era politicamente schierato. Quando iniziò a prendere posizioni politiche, nelle Forche Caudine dirette dall’antimonarchico Pietro Sbarbaro, tutti i suoi collaboratori gli voltarono le spalle e iniziò la sua discesa, mentre la polizia gli montava contro un’accusa di estorsione  e frode. Cronaca Bizantina dedicava molto spazio a dare notizia e commento dei libri in uscita anche con una vera pubblicità, in primo piano per le sue pubblicazioni. La pubblicità era stampata su pagine di carta colorata e sottile, intermezzi delle pagine più pesanti della rivista. Non disdegnava di pubblicizzare oltre ai libri anche la fiaschetteria, i cosmetici, le pillole, i bagni pubblici.

Occorre dire che sfogliando il catalogo delle sue pubblicazioni e delle firme che collaborarono a Cronaca Bizantina le donne sono veramente poche. Fra i libri delle edizioni Sommaruga i nomi femminili sono Maria Della Rocca, nipote di Heine, Irma, autrice non meglio precisata. Emma Ivon era in realtà, come si legge nella lettera conservata nel Fondo Sommaruga lo pseudonimo segreto di Cletto Arrighi. Il nome apparteneva a una donna reale, era il nome d’arte dell’attrice dialettale milanese Emma Allis-Novi, della compagnia di C. Arrighi, famosa anche perchè era stata sottoposta a processo e assolta, nel 1879, dall’accusa di simulata maternità e sostituzione d’infante. Matilde Serao, Emma Perodi e Teresa Venuti, Grazia Pierantoni Mancini, cognata di Evelina, per la cronaca sono le altre autrici del Catalogo Sommaruga. E c’è la Contessa Lara, che è anche collaboratrice di Cronaca Bizantina insieme a Matilde Serao, Olga Ossani, Emma Perodi, e una non meglio precisata Ida. (n.9)

 

La scelta a favore di Evelina Cattermole è quindi piuttosto oculata da parte di un editore che voleva colpire l’immaginazione dei lettori. Infatti quando nel 1883 Sommaruga presenta il volume Versi in Cronaca Bizantina, mantenendo il mistero della poeta sconosciuta, la presenta – come scrive Speroni che cita Cronaca Bizantina – <<bella, bionda e aristocratica>> e fingendo di stare parlando con il suo ritratto ribadisce che il suo sguardo languido dice <<che avete singhiozzato sulla bara di un morto in duello>>. Caratteristica della sua scrittura è che <<caso unico in Italia […] ci ha narrato quali sono gli affetti, i deliri, i desideri di una donna colta e gentile di oggi …>> (n.10)

 

La biografia di Maria Borgese e la poesia della Contessa Lara 

 

Questo aveva fatto Evelina Cattermole: mettere in poesia la sua vita. Maria Borgese è l’autrice che più ha commentato l’opera poetica della Contessa Lara. Nonostante le varie ristampe avvenute ai suoi tempi, i suoi libri di poesie è più di centanni che non vengono ristampati. Maria Borgese è la prima biografa di Evelina Cattermole.  Nota studiosa e autrice di ricerche storiche per prima nella sua ricerca di archivio scoprì l’atto di nascita della poetessa, individuando esattamente quando era nata, data che ancora oggi, a volte è incerta. Era stata scritta sull’atto di morte, sbagliata di cinque anni. De Gubernatis, caro amico della scrittrice, frequentatore abituale della sua casa romana – è conservata la corrispondenza che intercorse fra loro – usa una data sbagliata – il 1858-  nel presentarla nel Dizionario internazionale degli scrittori. Lina dichiarava dunque quasi dieci anni meno di quelli che aveva. Poteva permetterselo e forse ne era costretta perchè, come succede ancora oggi, negli ambienti giornalistici contava molto essere giovani per avere lavoro.

Maria Borgese si è accostata ai documenti d’archivio con molto rispetto. Scrive all’inizio della biografia che è costretta a tenere il riserbo e il silenzio su alcuni fatti e che si dichiara animata da “una grande umana simpatia, di donna a donna”. Su Versi, il volume del 1883, commenta:<<Buon gusto, sentimento delicato d’arte, vivacità d’immagini, spesso spunti originali, tocchi commossi, guizzi di passione, figure e paesaggi di disgno preciso; ma in genrale un tono di leggerezza graziosa, di vagabondo capriccio fantastico, di volubilità. Vampate di sentimentalismo e punte d’ironia, un non so che di superficiale e di labile: spesso manca un interesse vero, profondo, per un amore o per un dolore. In generale il tono è piano, borghese, rotto ogni tanto da uno scoppio enfatico di esaltazione romantica così di moda a quel tempo. E più che poesia propriamente detta, molte volte ci troviamo di fronte ad annotazioni poetiche di una bella signora impulsiva e mutabile.>> (n.11) Tuttavia quando esce, Versi ha un notevole richiamo, sia di pubblico che di critica. E la stessa Maria Borgese parla di un <<successo clamoroso di critica e di vendita>> (n.12) Evelina, spinta dallo stesso Sommaruga che, a febbraio del 1883 ha svelato la sua vera identità, arriva, a Roma e là si trasferirà.

Sommaruga era abbastanza coraggioso da usare per attirare il pubblico anche scandali, colpi di scena e pettegolezzi. Carducci, forse geloso del successo ottenuto da Evelina, lo aveva ammonito di <<finirla con questa Contessa Lara che incomincia ad essere noiosa>> (n.13) e gli aveva proposto di pubblicare le poesie del Conte di Lara. Sommaruga afferra l’idea e pubblicizza su Cronaca Bizantina l’uscita di un volume di poesie scritte da chi <<intinge la penna nelle ancor gementi ferite>> (n.14). Voleva far credere che l’autore, in realtà Domenico Milelli, era Eugenio Mancini che rispondeva alle poesie della ex-moglie. La Contessa Lara non si prestò al gioco.

Il legame con Mario Rapisardi e l’amicizia con Giselda Foianisi

 

Speroni, biografo della Contessa Lara e molto meno riservato di Maria Borgese, sostiene che Carducci non ce l’avesse tanto con la scrittrice ma con Mario Rapisardi con cui era in corso una polemica iniziata nel 1881. La relazione di Rapisardi con Evelina Cattermole merita qualche approfondimento. Nel 1883 Rapisardi come lui stesso dirà si è liberato del fardello della moglie. Dopo dodici anni di matrimonio infelice, Giselda <<cominciò la sua coraggiosa e dignitosa vita di lavoro, e di libertà, senza chiedere nulla a nessuno, nemmeno al marito che per obbligo di legge avrebbe dovuto provvedere al suo sostentamento.>> (n.15) Aveva deciso di raggiungere, con sua madre, l’uomo che aveva sempre amato, conosciuto da giovanissima, Giovanni Verga. Rapisardi e Evelina, nell’aprile del 1884, hanno passato insieme qualche giorno a Napoli, lei è infatti là per lavoro, ma, come dice Speroni, hanno speso insieme anche qualche notte. Per dieci mesi non sono più in rapporto, lui probabilmente le scrive ma lei non riceve, perchè probabilmente alcune lettere di Rapisardi, dice lei, sono finite dai Mancini. Lui vorrebbe che lei lo raggiungesse in Sicilia. Secondo Speroni che fa dei commenti divertiti, Evelina di fronte <<all’agghiacciante ipotesi di una aspirante suocera che a Catania l’aspetta a braccia aperte>> (n.16) chiude la partita, durata ormai da dieci anni, con la carta giusta. Lei gli scrive dicendo che si rammarica ma non può accettare perchè a Firenze le voci cattive dicono che Giselda avrebbe lasciato il marito per colpa sua e lei non vuole avvallare questa ipotesi, come sappiamo, falsa. Rilancia la carta dell’amicizia e gli chiede di correggerle i versi di un suo nuovo libro di poesie. La lettera di Evelina è pubblicata sull’Endimione di Catania. Il “caro e buon Mario” questa volta è, però, molto seccato e le dice addio (con disprezzo). La loro relazione è definitvamente finita. Nello stesso anno Rapisardi incontrerà la donna che lo assisterà fino alla sua fine che avverrà nel 1912, era nato nel 1844. Maria Borgese va più a fondo di questo rapporto, anche se è convinta che fra i due ci sia sempre stata solo amicizia. Anzitutto riconosce che certamente Rapisardi <<aveva contribuito alla fortuna della Contessa Lara, sia correggendole i versi, sia raccomandandone la pubblicazione a direttori di giornali.>> (n.17),  poi commenta, e non si può che concordare. Dopo quella lettera, Rapisardi <<Divenne furioso e scrisse brutalmente a una donna indifesa, ch’egli aveva amata e che era stata con lui certo lusinghevole per gratitudine o per pietà, ma anche affettuosa, confidenziale, tenera, buona.>> (n.18) e aggiunge, fra i due, <<fu la donna che si dimostrò più leale, più sincera, più generosa.>> (n.19)

In questi anni, esattamente il 1884, c’è anche l’incontro con Gabriele D’Annunzio, collaboratore sia di Cronaca Bizantina che di Tribuna. D’Annunzio ha ventuno anni ma sa già vendere con molto spirito imprenditoriale la sua scrittura. Dedica una poesia a Evelina

che ne ha 35. Era conservata autografa fra le carte della scrittrice. Maria Borgese la pubblica dichiarando che ne sta censurando dei pezzi. La pubblica intera Speroni. Il suo valore – direi – è soprattutto pornografico. Il D’Annunzio si vive nelle vesti di un cane, amante della scrittrice, la quale era una grande amica degli animali; teneva in casa uccellini in voliera, due topine bianche libere e girava per la città accompagnata da Isella la sua levriera. La Borgese definisce la poesia come uno dei <<soliti esercizi di nudo sul gusto di Francia che il D’Annunzio, allora, si compiaceva imitare>> (n.20)

 

Commento alle novelle e la relazione con Giovanni Alfredo Cesareo

 

Nel gennaio del 1885  Evelina conosce Giovanni Alfredo Cesareo, di dodici anni più giovane, anch’egli poeta e giornalista della Cronaca Bizantina. Vivranno insieme felicemente per più di dieci anni. Il loro ‘matrimonio’ inizia nel maggio del 1885 quando si stabiliscono in piazza Montedoro. La scrittrice dimostrò una attrazione molto forte per gli uomini, delle donne non sappiamo, più giovani. Nel periodo in cui tentava di liberarsi dalla presenza opprimente e persecutoria di quello che sarà il suo assassino, aveva stretto una più forte amicizia con due ragazzi di cui era stata madrina, che conosceva fino da piccoli. Erano i due fratelli Bottini, Ferruccio e Ezio, figli della sua carissima amica Pina. E al primo – che li rifiuterà – lascerà nel testamento tutti i suoi averi. Lei capisce molto bene i turbamenti dei giovani. In una delle sue novelle, che sono numerose, dal titolo Una parente, la scrittrice racconta come un quindicenne scopre l’innamoramento per la zia. <<Tore aveva più di quindici anni quando si accorse che la terrazza riguardante sul giardino non aveva alcuna attrattiva se la zia Concetta non c’era>> (n.21)

 Fra tutte le sue novelle è forse la più riuscita nella descrizione dei meccanismi psicologici pù distanti dall’esperienza che può avere vissuto in prima persona. Invece sviluppa una notevole dote di empatia. Il ragazzo <<[…] provava un singolare turbamento in cui il dispetto e la vergogna d’esser trattato come un fanciullino si mischiavano a un sentimento d’un genere a fatto nuovo per lui.>> (n.22) Mi piace pensare che in questo racconto ci sia molta personalità della scrittrice che probabilmente provava e aveva provato per gli uomini più giovani quella tenerezza, quella attrazione anche sensibile, quel piacere di dare amore che sono il tema del romanzo di Colette, dedicato all’amore fra Leà, e Cherì che conosce fino da bambino (n.23). I racconti della Contessa Lara hanno per protagoniste quasi sempre donne nelle più svariate condizioni, protagoniste di eteorgenee trame e in diverse collocazioni sociali. Sono personaggi straordinariamente assenti di psicologia introspettiva ma attorno a essi prevale il racconto di tipo giornalistico, dove, a volte, non sempre, avvertiamo però un interno struggimento che diventa uno sguardo sul mondo che annota, senza sentimentalismi, quanto c’è di tragicamente presente. E’ quindi la sua cronaca narrativa, scarna e priva di commenti o di filosofia, ma tutt’altro che mondana, leziosa e frivola. Non sono poche le figure di donne offese, che assistono alla loro sfortuna con uno sguardo più che rassegnato, attonito, come se aderissero drammaturgicamente a una parte, non scelta ma della quale sono però protagoniste a pieno campo, ingranaggi del mondo che le accoglie anche se ci sarebbe da chiedere con quale diritto lo stia facendo. Non mancano i quadri di libertà femminile e dove gli uomini sono zimbelli nelle loro mani, ma sempre con una punta di dolore che non ci lascia semplicemente divertite. C’è, in alcuni di questi racconti, una violenza sotterranea che spaventa, proprio per la freddezza con cui viene raccontata, come se il mondo avesse una corsa inarrestabile, tragica e fatale. Uno dei più tragici è Il fatto della Mariuccia dove un padre, un contadino, ammazza la figlia incinta e senza marito, una figlia adorata. Alla fine del racconto Ottavio è condannato a dieci anni di lavori forzati <<per aver massacrata la su’ figliola. Avrebbero potuto parimenti condannarlo a vita, tanto ha sessant’anni sonati e a casa non ci torna di certo. Che ci tornerebbe a fare adesso che non c’è più quel visino di Madonna della Mariuccia?>> (n.24)


Le collaborazioni per la stampa e i nuovi libri di poesie

 

Era questo il materiale con cui collaborava ai giornali e alle riviste, quindi con novelle, articoli di costume, a volte ricordi. Negli anni della collaborazione letteraria e giornalistica oltre che della convivenza con Cesareo, lei fu molto felice. Pubblicò su Corriere di Roma, fondato da Scarfoglio e da Matilde Serao,  Corriere della Sera, Caffaro di Genova, Capitan Fracassa, Il Fanfulla della Domenica, Giornale di Sicilia, L’ Illustrazione italiana, Margherita, Il Pungolo della DomenicaLa Vita Italiana, Cenerentola, Le Conversazioni della domenica, Corriere di Napoli, Don Chisciotte della Mancia, Folchetto, Gazzetta letteraria artistica e scientificaGerminal, L’Illustrazione popolare, Intermezzo, Lettere e arti, Mondo piccino, Nabab, Natura ed arte, L’Occhialetto, La Palestra letteraria, Roma letteraria. Giornale per i giovani, La Scena illustrata, La Tavola rotonda,  La Tribuna, La Tribuna illustrata, Veglie italiane. Radunò inoltre in volumi le novelle e scrisse i romanzi L’Innamorata, Una famiglia di topi e Il romanzo della bambola, questi ultimi definiti ‘per bambini’. Scriveva per mantenersi, ma lo faceva anche bene, accompagnando la vita delle sue lettrici in numerose rubriche. Scrive Speroni <<Si potrebbe pensare che questa stakanovista del giornalismo, febbrilmente impegnata a fabbricare pezzi come in una catena di montaggio, abbia sacrificato la qualità alla quantità, invece le sue rubriche, ottenute non per compiacenze, ma grazie a proposte mirate, intelligenti, sono ben scritte, fresche, documentate con la faticata umiltà della brava cronista. Ma anche con l’ironia critica e le testimonianze personali che le sue lettrici s’attendono da una donna che fa tendenza.>> (n.25)

 

Nel 1886 Evelina pubblica un nuovo libro di poesie E ancora versi, secondo Maria Borgese anche 

qui non ci sono <<palpiti di vera poesia, si trovano solamente in alcuni frammenti sulla naturale gioia della donna che si sente amata per la sua bellezza, o sul dolore dell’amante che non si sente completamente amata.>> (n.26)

 

Invece i Nuovi versi, composti fra il 1884 e il 1894 <<segnano un vero svolgimento ideale e morale, non soltanto nella vita ma anche nell’arte della poetessa>> (n.27). Il tema è sempre l’amore ma questo amore <<non è più momentanea esaltazione della sensibilità>> (n.28). E’ un sentimento profondo, nel quale ella vede se stessa, non c’è più ombra di retorica <<tutto sorge improvviso, spontaneo, di getto e la stessa nudità della forma, senza immagini, senza ornamenti, parlata, quasi prosaica aggiunge evidenza alla sincerità del sentimento.>> (n.29)

<<La poetessa è ora in comunione con la natura, l ‘ascolta e la intende.>> (n.30) Anche la forma, in questo libro, è <<infinitamente progredita in confronto di quella più trasandata degli altri due.>> (n.31)

 

La fine

 

Nel 1894 finisce la sua relazione con Cesareo che torna a casa sua avendo ricevuto una cattedra all’Università di Messina, secondo Maria Borgese fu lei però che volle troncare una relazione che non le dava più la dolcezza, l’amore, l’ammirazione dei primi tempi. E’ molto interessante come Evelina Cattermole in una risposta a Cesareo si identifica nella bambola. ‘La bambola’ è un tema ricorrente nella sua scrittura. E’ lei stessa a scrivere che le bambole che tiene in casa le vorrebbe vive fra le sue braccia, come bambine. C’è però anche qualcosa di più profondo nel riferimento alla bambola che va oltre un desiderio insoddisfatto di maternità. Come è noto, Nora, la eroina di Casa di bambola di Ibsen, delusa dal legame con il marito, di cui si è accorta quanto è strumentale, pavido e senza giustizia, se ne va, lasciando la casa, il marito e i figli. Evelina invece di viversi come un’intellettuale, un’emancipata che aveva amministrato molto bene i suoi talenti, una donna libera, ormai, dopo trascorsi anni dall’uscita dalla casa del marito, lei dice <<Alle tue serie pagine risponderò con de’ baci da bambola come sono. Ormai tu ibseneggi, e già ch’è la moda, ci vuol pazienza. Bambola sono e bambola resto. Morrò bambola, ma almeno fosse presto. Sentirei come una gran liberazione. Io ch’ero giunta al punto d’avere quasi paura di morire, ora … ma perchè la bambola fa la tragica? Che sciocchezza ! …>> (n.32) Maria Borgese commenta che la ormai quarantaquatrenne Evelina vuole continuare a fare la bambola, a bamboleggiare. Ma c’è qualcosa di più profondo in questo spunto e anche nel suo rifiuto di Ibsen. Fa pensare che stia vivendo Nora come una proiezione pedante di Ibsen, una donna senza possibilità di perdonare, di guardare agli altri oltre i gesti, le parole e la miseria di cui sono umani interpreti.  Evelina sta oltre Nora e può permettersi di fare la bambola. Evelina sfugge al richiamo della filosofia ibseniana e si accomoda tranquillamente nella coscienza di essere un oggetto per piacere, si sente, forse, sempre e profondamente soprattutto una ‘cosa’ fra le mani degli uomini che hanno provato a volerle bene, senza riuscire a riconoscerle la pienezza della sua soggettività, la ricchezza che in lei agiva e la animava. Aveva con la sua scrittura raggiunto una ricchezza interiore di cui sapeva avvantaggiarsi, facendo a meno, almeno in questo, del riconoscimento maschile. Però c’è anche altro da dire. E’ finita dopo dieci anni la relazione con Cesareo. E lei si sente un giocattolo parzialmente rotto e terribilmente spossata, senza più desideri. Speroni ha pubblicato <<un documento autografo fino ad oggi ignorato>> del 5 – 5 – 1895, nel quale la Contessa Lara, così è la firma, dichiara che <<sana di corpo e di mente, rinunzio alla vita, perchè ne sono assolutamente stanca. Lascio ogni mio possessedimento di cartelle, oro, mobili e altro al signor Giovanni Alfredo Cesareo, che amo. E col quale ho vissuto dieci anni maritalmente, divisa ora da un triste equivoco il quale mi addolora a segno di farmi rinunziare all’esistenza, che odio separata da lui.>> (n.33)

Nel 1895 la Contessa Lara sta correggendo le bozze del libro Il Romanzo della bambola, uscirà nel 1896  per Hoepli. Leggiamo nel frontespizio “Illustrato con 16 disegni da Giuseppe Pierantoni”. Sono dei disegni inespressivi, privi di quella tenerezza affabulante che piace vedere nei libri per l’infanzia. In particolare non c’è una raffigurazione forte di quella che è la vera protagonista del romanzo, la bambola, la quale si chiama Giulia, è un bellissimo oggetto che viene poi trascurato e quindi rattoppato di nuovo, e che commenta con i suoi pensieri cosa capita attorno al suo corpo di pezza. Il disegnatore è il suo assassino. L’uomo che la Contessa Lara aveva già conosciuto quando scrive il documento autografo del ’95. Le viene presentato nel novembre del 1894, pochi giorni prima, Cesareo era rientrato in Sicilia. Il disegnatore è stato chiamato a illustrare alcuni articoli di moda che la Contessa Lara pubblica su Vita italiana diretta dall’amico De Gubernatis. Per due anni rimane legata a quest’uomo, prima con affetto, sarà poi sempre più sfruttata da quest’uomo che dipendeva economicamente da lei, trattata violentemente e infine costretta a sfuggirlo. Lui la ucciderà, dopo essere penetrato in casa sua, proprio con il piccolo revolver che lei aveva ricevuto in regalo da Ferruccio Bottini, che si era preoccupato di metterla in grado di difendersi dal persecutore. Durante l’agonia la scrittrice dirà che l’uomo l’aveva uccisa per denaro. Il desiderio di soldi, la gelosia non amorosa ma per i nuovi rapporti che lei aveva stretto con i giovani Bottini che l’allontanavano sempre più da lui, l’impotenza a raggiungere su di lei la superiorità, il possesso e il potere che mai aveva potuto avere, saranno il movente dell’ omicidio che lei stessa vorrà che non fosse preso per passionale, valutazione questa che gli avrebbe consentito di avere un minor numero di anni di prigione. Sarà condannato a 11 anni e otto mesi di reclusione.

 

Al momento della morte di Evelina Cattermole il suo lascito era di 70 mila lire. Lei aveva lasciato tutto a Ferruccio Bottini che rifiutò l’eredità. Gli amici avevano organizzato un’asta con tutti suoi beni che fruttò 42 mila lire, il fratello Enrico ereditò 2 mila lire. La sorella Elena che era una suora sperò in un crocefisso come ricordo della sorella ma non riuscì a avere niente. Non si sa ancora dove siano finiti tutti i suoi soldi. Il notaio che li aveva in custodia sparì. Dopo alcuni anni un amico propose di raccogliere nuovamente dei fondi per dedicarle una tomba, ma anche quelli sparirono. I resti di Evelina Cattremole sono stati deposti nella fossa comune.

 

Le dichiarazioni delle amiche sulla stampa

 

La descrive così Matilde Serao nel necrologio che le dedicò: <<Questa sirena ammaliatrice che non aveva più né bellezza né eleganza, questa donna dallo pseudonimo romantico che accomodava da sé i suoi vecchi corsages aggiustandovi un fiocco di nastro, un merletto, questa crudele che amava tanto i bimbi, i fiori, gli animali, qusta perversa era una creatura di fatica, un essere che passava ore e ore a scrivere, senza stancarsi, senza troppo pretendere, non seccando né i direttori di giornali, né i lettori, lavorando quando gli altri si divertivano, e sciupando i suoi poveri occhi malati sulla carta, correndo da una redazione di giornale alla posta, vegliando tardi, mangiando in una trattoria o sovra un angolo di tavolo.>> (n.34) Matilde Serao sovvertiva il mito del mostro di perversione che, dopo la sua morte, da parte di alcuni uomini e donne, ancora era saltato fuori. Diceva però anche <<della sua paura di essere sola, di essere abbandonata, ella s’innamorava e credeva d’essere amata; ella s’inebriava novellamente di ogni illusione puerile: ella capitolava innanzi a uno sguardo, a una parola amorosa.>> (n.35)

 

Febea, alias di Olga Ossani, scrisse che la Contessa Lara avrebbe avuto tutto il diritto di cercare l’amore perchè se un uomo, un giornalista grande lavoratore, che non chiedeva soldi a nessuno, si fosse concesso un’ora d’amore nessuno avrebbe avuto niente da ridire e <<La donna è un essere umano come l’uomo.>> (n.36) Maria Borgese  dice che in altri climi il comportamento della Contessa Lara invece di sollecitare riprovazione avrebbe suscitato invidia, come era successo in Francia per la scrittrice George Sand nonostante che vestisse da uomo, fumasse il sigaro e avesse avuto parecchi amori.


NOTE

 

(n.1) Contessa Lara, L’Innamorata, Avagliano, Roma, 2007

(n.2) Contessa Lara, Tutte le novelle, a cura di Carlotta Moreni, Bulzoni, 2002 pag.523 La Vigilia è stata pubblicata la prima volta sul Fanfulla della Domenica  il 14,12,1890

(n.3) Gigi Speroni, La Contessa Lara. Breve e scandalosa vita di una poetessa malata d’amore, Libri Scheiwiller, Milano, 2003

(n.4) AA.VV, Scapigliatura, catalogo Mostra di Palazzo Reale, Milano 26,6-22-11, 2009, Marsilio, pag.184

(n.5) Speroni, op.cit. pag.72

(n.6) Contessa Lara, Versi, Sommaruga, Roma 1883 citata da Maria Borgese, La Contessa Lara: una vita di passione e di poesia nell’Ottocento italiano, F.lli Treves, Milano, 1930, pag 94

(n.7) Maria Borgese, op. cit. pag.98

(n.8) G.Farinelli, La Scapigliatura: movimento, letteratura e giornalismo, sta in Scapigliatura, op. cit. pag.3

(n.9) Catalogo del Fondo Angelo Sommaruga della Biblioteca di via Senato, La Scapigliatura Angelo Sommaruga dalla bohème milanese alla Roma bizantina, Edizioni Biblioteca di via Senato, 2009

(n.10) Speroni, op. cit. pag. 137

(n.11) Maria Borgese, op.cit.pag 185

(n.12) Maria Borgese, op.cit. pag.118

(n.13) Speroni op.cit. pag 148

(n.14) Speroni op.cit. pag. 148

(n.15) Maria Borgese op.cit. pag.139

(n.16) Speroni op.cit. pag. 149

(n.17) Maria Borgese op.cit. pag. 137

(n.18) Maria Borgese op.cit. pag.144
(n.19) Maria Borgese op.cit. pag. 147
(n.20) Maria Borgese op.cit. pag 128
(n.21) Contessa Lara, 2002, op. cit. pag 439, Una parente è stata pubblicata la prima volta in Conversazioni della Domenica, 25, 3, 1888
(n.22) id.pag. 440
(n.23) Colette, Cherì, Adelphi, 2003
(n.24) Contessa Lara, 2003, op.cit. pag. 141, Il fatto della Mariuccia è stato pubblicato la prima volta nel Fanfulla della Domenica, 30, 3, 1884 poi nel volume Così è, Triverio, Torino, 1887
(n.25) Speroni, op.cit. pag. 167
(n.26) Maria Borgese, op.cit. pag.191
(n.27) Maria Borgese, op.cit. pag.192
(n.28) id.
(n.29) Maria Borgese, op.cit. pag.197
(n.30) Maria Borgese, op.cit. pag.200
(n.31) Maria Borgese, op.cit. pag.199
(n.32) Maria Borgese, op.cit. pag.206
(n.33) Speroni op.cit. pag.184
(n.34) Maria Borgese, op.cit. pag.249
(n.35) Maria Borgese, op.cit. pag.251
(n.36) Maria Borgese, op.cit. pag.260

 

 

Vedi anche: Brunella Schisa, Dopo ogni abbandono. Il romanzo della Contessa Lara: scandalo, amore e morte nella Roma di fine Ottocento, Garzanti, Milano, 2009

 

Per una bibliografia completa dell’opera della Contessa Lara

vai al sito di Patrizia Zambon dell’Università di Padova

 

Donatella Massara